Ri-membrare

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Le orecchie odono la sveglia e la mano sfugge alla tentazione di spegnerla. La mente, ancora offuscata, comunica blandamente che oggi non possiamo rimandare, la giornata è lunga e ci sono tante cose da fare. Timidamente un braccio scosta la coperta ma la pelle, sentendo l’aria fredda che l’accarezza, si rannicchia immediatamente nelle coperte. Allora la mano cede e, stando attenta a uscire il meno possibile dal tepore, ritarda la sveglia dando l’illusione al corpo, che rimane rannicchiato ancora 5 minuti, di poter fermare quel momento di tepore. Ancora un istante, i polmoni tirano un lungo respiro e le orecchie si accorgono che il dolce e tenue suono della pioggia avvolge la stanza. Il cuore sobbalza, sarebbe bello rimanere qui per oggi ma la testa riporta tutti all’ordine: “Forza, dobbiamo andare!”. I polmoni vanno un po’ in apnea, la pancia si contorce un po’ per la tensione. La giornata inizia ma le membra non sono affatto pronte. Il corpo intorpidito fa un nuovo tentativo, allontana le coperte e si alza. Lentamente si avvicina al tappetino da yoga. Sono anni che ripete quasi gli stessi movimenti e sa che è un toccasana per il suo risveglio. Un respiro dopo l’altro, una posizione dopo l’altra inizia ad andare meglio, anche la mente si schiarisce e dopo una doccia calda inizia ad alleggerirsi questo torpore e comincia a palesarsi un raggio di buonumore che fa breccia nella stanchezza di questi giorni.

È tardi, in fretta i vestiti ricadono sul corpo e il viso è avvolto da un make-up leggero. Camminando velocemente verso la cucina l’indice accende la macchina del caffè e dopo qualche istante il suo odore si spande nella stanza. Con un gesto abituale viene versato nella tazza e avvicinato alla bocca che ne assapora il gusto e il tepore. Finalmente la mente è più sveglia, forza è tempo di andare. Oggi non si prende la macchina e passo dopo passo i piedi arrivano alla fermata del bus, una pioggerella fine continua a bagnare l’asfalto.

Salito sul bus, il corpo prende posto nel veicolo ancora poco affollato che piano piano si riempie. Gli occhi sono attratti dalle persone assonnate, assorte e indaffarate che si apprestano ad affrontare una nuova giornata come me. Dove saranno dirette? Scuola? Lavoro? Un esame? Un colloquio? Un nuovo progetto? Ognuno a gestire le proprie tensioni e a cercare di affrontare al meglio la giornata, la mia testa si chiede spesso dove andiamo tutti sempre così di fretta… L’autobus giunge alla fermata e le gambe si apprestano a scendere, poi una breve camminata in centro per arrivare a destinazione. Non piove più, le mani chiudono l’ombrello, l’aria umida bagna la faccia e i piedi lasciano le impronte sull’asfalto bagnato. La tensione è ancora presente sul cuore e nelle viscere che si chiedono “Come andrà oggi?”, i polmoni tentano di respirare lentamente per trasmettere tranquillità e la testa spazientita risponde “Bene, come ogni volta che lo chiedete d’altronde!”

C’è ancora tensione ma nell’animo rimane la speranza che passerà. La testa ha ragione ma non importa quante volte sia già successo: ansia, tensione, parlare, formare, osservare l’impatto sugli altri, constatare le conferme del proprio operato. Ogni volta. Ma questa iniziale tensione non abbandona il cuore. È un’eterna sfida, non è facile esporsi o parlare in pubblico per chi ha un’indole introversa e riservata, specialmente quando l’energia non è al 100%. Il desiderio di fare formazione nasce dalla speranza che, un giorno, certi argomenti possano essere di uso comune e dalla consapevolezza profonda di quanto questo sarebbe socialmente importante ma non c’è piacere nell’essere al centro dell’attenzione: i primi momenti pongono sempre l’interno in uno stato di velato disagio nascosto dai movimenti abituali che avvengono quasi in automatico. Le orecchie ascoltano coloro che continuano a sostenere quanto la voce sia capace di trasmettere concetti, così il cuore non se l’è mai sentita di tirarsi indietro nell’affrontare questi momenti sebbene farlo sia sempre un grosso scoglio.

Eccoli, lo sguardo scorge gli occhi puntati addosso, il cuore palpita e quasi teme che la bocca non parlerà. Ma parla invece, piano piano che il dialogo si fa più circolare il ghiaccio si scioglie e quando l’attenzione si volge agli altri arriva finalmente un senso di rilassatezza. Nel flusso si creano nuove connessioni e nuove consapevolezze. Gli occhi colgono gli sguardi sorridenti, la bocca saluta e da appuntamento alla volta prossima che, la testa sa, sarà sicuramente meglio della prima. Le prime volte sono sempre avvolte da troppe emozioni, la prossima volta sarà più tranquilla e lucida.

La bocca assapora il cibo di una breve pausa ed è tempo di andare in studio, entrando le orecchie apprezzano il silenzio e le voci sommesse delle colleghe negli studi adiacenti. Il corpo è stanco ma finalmente rilassato, i polmoni respirano a pieno l’aria dolce della stanza e le orecchie si addolciscono al suono della musica in sottofondo. La testa stacca per un momento fino al suono del campanello. Ed ecco che parte la seconda parte della giornata, davanti agli occhi sfilano tante facce diverse e familiari che condividono le loro storie più profonde come un dono prezioso. L’interno percepisce le loro emozioni e le restituisce trasformate in una danza sintonica che muove il vecchio restituendo il nuovo. In questo luogo si assiste alla vulnerabilità, alle difficoltà, al cambiamento e alla crescita. Talvolta, il cuore si accorge di quando l’altro non veda il proprio cambiamento ma lo sguardo esterno e interno, invece, scorge tutto e lo restituisce alla vista dell’altro.

L’animo si trova a proprio agio nell’ascolto e il corpo, nonostante la stanchezza, trova comodità in quella poltrona immersa in un’energia particolare di speranza e guarigione. Adora questa dimensione. Solo ultimamente c’è più pesantezza, un peso al centro della schiena e all’interno dei polmoni trova un cuore gonfio e nero che sta faticando a raccogliere l’energia per sostenere tutti. Prendersi cura di sé, del proprio tempo, della propria ricarica come persone e terapeuti è fondamentale per continuare a generare quell’energia necessaria per creare guarigione negli altri, tutto ciò che facciamo per noi stessi confluisce nel lavoro per gli altri, il proprio benessere è fondamentale e inestimabile. E

nonostante quell’ostinato senso del dovere, anche la testa adesso dà una tregua al cuore: “È tempo di staccare per un po’: ci vuole riposo per tornare a fare il lavoro più bello del mondo”.

Dott.ssa Marica Vignozzi

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