C’è un momento, nelle feste, in cui il mondo inizia un conto alla rovescia.
Nessuno lo annuncia.
Lo senti.
Lo senti nei giorni che si accorciano.
Nel freddo che pizzica le dita quando apri la porta.
Nel suono della carta dei regali che si strappa.
Nell’odore che arriva dalle cucine e si infila ovunque: nei vestiti, nei capelli, perfino nei pensieri.
Dieci.Nove.Otto.
Le luci si accendono e si riflettono sui pavimenti bagnati.
Le strade brillano, le vetrine promettono felicità pronta all’uso.
Le persone si affrettano, ridono, si abbracciano, cantano.
Come se il mondo volesse dirti: “Guarda. È bello. Devi sentirti bene.”
Il telefono squilla: “ci vediamo?”, “dai, vieni”, “mangia con noi”.
E le stesse frasi, sempre allegre:
“Che bello, è Natale.”
“Dai, finalmente ci rilassiamo.”
Sette.Sei.
Arriva la sera.
La casa calda.
Il vapore sui vetri.
Le guance arrossate.
I cappotti appesi uno sopra l’altro come corpi senza nome.
“Auguri!”
Due baci veloci. Un abbraccio più lungo.
Il profumo di qualcuno, dolce e pungente, che si mescola al burro, alla cannella, all’arancia.
E poi i suoni, quelli del Natale:
sedie che strisciano,
piatti che tintinnano,
bicchieri che si toccano,
risate che esplodono e si sovrappongono,
la musica che riparte da capo, sempre uguale, sempre lì.
Cinque.
Io entro.
Sorrido.
Dico le parole giuste.
Faccio i movimenti giusti.
Eppure… una parte di me resta sulla soglia.
Perché a un certo punto succede.
Come quando entri sott’acqua.
Il mondo continua, ma si allontana.
Le voci diventano ovattate.
Le frasi mi arrivano a metà.
Le canzoni sono solo vibrazioni.
E mentre fuori tutto si riempie… dentro comincia a svuotarsi.
Si accende il buio.
Fuori: luci, fiocchi, pacchi, tovaglie rosse, candele.
Io li guardo come si guarda una festa dalla finestra.
Li vedo… e non ci entro.
Dentro c’è una stanza ferma.
Una stanza senza tempo.
E al centro: il vuoto.
Un vuoto che fa rumore: il silenzio.
Un vuoto che pesa.
Lo senti nello stomaco che si stringe e poi si spegne.
Nella gola che diventa piccola.
Nella mandibola serrata.
Nel respiro corto, come se l’aria fosse meno.
Fa male…
e dà sollievo.
Perché nel vuoto non devi scegliere.
Non devi “essere felice”.
Non devi “essere leggera”.
Non devi “fare bene le feste”.
Nel vuoto puoi scomparire senza muoverti.
Essere presente fuori… e sparire dentro.
E intanto fuori: “apparecchiamo!”, “che profumo!”, “dai, brindiamo!”.
E dentro nasce quel desiderio: sparire del tutto.
Sparire nel vuoto, dove nessuno ti chiede niente.
Perché poi arrivano le frasi.
Piccole e automatiche.
“Dai, assaggia.”
“Solo un pochino.”
“È fatto in casa.”
“È Natale.”
“Per una volta…”
“Su, sorridi.”
E ognuna mi spinge più lontano.
“Solo un po’” è una montagna.
“È Natale” è un dovere.
“Per una volta” è come se il mio corpo fosse un capriccio.
E nel buio arriva lui.
Non entra dalla porta.
È già lì.
Una presenza scura.
Un mostro senza volto.
Che sussurra:
“Attenta.”
“Non ce la fai.”
“Se resti, ti perdi.”
E mentre fuori cantano, giocano, raccontano l’anno che finisce…
dentro il conto alla rovescia continua.
Quattro.Tre.Due.
Secondi di resistenza.
Secondi in cui restare seduta sembra un’impresa enorme.
Secondi in cui ti chiedi come si fa a essere lì senza frantumarsi.
Essere circondata… e sentirsi sola.
E allora potrei fare la cosa che so fare meglio:
andarmene senza muovermi.
Restare seduta… e partire dentro.
Uno.
E invece succede una cosa piccola.
Una sedia che si sposta.
Il legno che gratta piano sul pavimento.
Un fruscio di tessuto.
Qualcuno si siede vicino.
Non di fronte.
Non addosso.
Vicino.
E la vicinanza, si sente:
nel calore accanto al tuo,
in un respiro che torna vicino,
e non devi più reggere tutto da sola.
Non dice “dai”.
Non dice “su”.
Non dice “devi”.
Resta.
E nel restare il mostro cambia.
Non sparisce.
Ma perde forza.
Perché non può più nutrirsi della solitudine.
E allora il buio… si fa meno denso.
Torna un dettaglio.
Il rosso di un fiocco.
La luce gialla che trema in un bicchiere.
Il vapore di una tazza tra le mani.
Il suono semplice, umano, di qualcuno che respira accanto a te.
E quel dettaglio è un colore.
Non tutti i colori, non subito.
Ma abbastanza per restare ancora un minuto.
Perché a volte, non serve una frase perfetta.
Serve una presenza.
Una vicinanza che non scappa quando dentro è buio.
E lentamente…
con qualcuno accanto…
il mondo può ricominciare a colorarsi.




