Cambio programma

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Per molto tempo ho avuto fiducia nelle mie capacità. Pensavo che l’impegno, lo studio e una buona dose di esperienza potessero bastare per poter diventare una brava psicoterapeuta. Sicuramente sono elementi essenziali per poter avere gli strumenti adeguati e propedeutici allo svolgimento del nostro lavoro, ma erroneamente, soprattutto all’inizio di questo bellissimo percorso, pensavo che mai e poi mai avrei dovuto “cedere”. Niente sbandamenti, niente cambi di rotta, niente ripensamenti, niente turbamenti interiori.

Ma si sa, nella vita ciò che possiamo controllare non esiste, non sappiamo cosa ci riserva il futuro, non sappiamo quanto e come ci troviamo costretti a metterci in discussione.

Era l’anno 2020, famoso a tutti noi, e la pandemia da Covid-19 ci costringeva a rivedere il nostro modo di vivere e, di conseguenza, di lavorare. Mi destreggiavo con le mie prime terapie online, mentre purtroppo ero stata costretta a rimanere a Roma, dove allora lavoravo. Ricordo ancora l’emozione di quell’estate in semi-libertà, quando finalmente ci fu concesso di ritornare a casa. Ero dimagrita. Avevo trascorso i mesi precedenti a programmare ogni minuto della mia giornata, mangiavo bene e mi allenavo quasi ogni sera. Facevo di tutto per sopravvivere dignitosamente a quel lockdown. Durante quell’estate ne approfittai per fare dei controllo medici che rimandavo da un po’ di tempo.

Effettuai una visita ginecologica, esitata in “sarebbe opportuno effettuare un’operazione”. Ero spaventata, ma nello stesso momento fiduciosa, avrei dovuto effettuare un intervento di routine per rimuovere dei fibromi uterini. Ero rientrata a Roma quando fui chiamata dall’ospedale, dopo due settimane avrei dovuto effettuare il pre-ricovero e poi l’operazione.

La nostra Puglia era in zona rossa, per cui non sarebbe potuto entrare con me in ospedale nessun familiare, avrei dovuto fare tutto da sola, ma rimaneva pur sempre un intervento di routine.

Stai tranquilla, andrà tutto bene.

Ricordo ancora, come fosse ieri, quelle due ultime settimane di lavoro, avevo in programma tante valutazioni e rassicuravo i miei pazienti… “avrò bisogno di una decina di giorni di convalescenza e poi rientro…”. Effettuai il pre-ricovero, risultai idonea per l’intervento e negativa al tampone per la rilevazione del Covid-19.

Il 4 novembre 2020 entrai in ospedale, accompagnata dal mio ragazzo e dalla mia mamma, un saluto al volo sull’uscio, un breve ci vediamo tra tre giorni se tutto va bene. Ricordo ancora di aver letto nei loro occhi il terrore, ma non avevo la possibilità di vedere cosa esprimevano i miei occhi.

Fino a quel momento, stavo gestendo in maniera adeguata la mia ansia.. ero più preoccupata dall’idea che dovevo attraversare questo momento da sola, più che dall’intervento stesso. Ma mi ripetevo che ce l’avrei fatta. L’intervento andò bene, o almeno apparentemente così sembrava. Ritornai nella mia stanza, dopo essermi risvegliata dall’anestesia totale, e parlai a lungo con la mia “coinquilina”, una signora sull’ottantina ricoverata lì con me per un tumore all’utero, stadio terminale.

Quella sera, nel torpore nell’anestesia, sentii il medico che la visitò, per la signora non c’era più nulla da fare, non sarebbe più uscita viva dall’ospedale, sarebbe stata spostata in oncologia e non avrebbe più potuto rivedere i suoi figli. Mi sono commossa a lungo, la mia mente non riusciva a concepire questo “maltrattamento”. Povera signora, poveri figli. Mi addormentai in un sonno profondo, dopo aver avvisato la mamma e il mio ragazzo della buona riuscita dell’intervento, e mi risvegliai la mattina, con le parole di quella dolcissima infermiera.. “hai pronunciato la parola mamma tutto stanotte, hai cercato la tua mamma tutto stanotte, come stai?”. Di quel giorno, il giorno dopo l’intervento, ho ancora dei ricordi confusi. Ci ho lavorato tantissimo in psicoterapia. Ancora ad oggi ho dei vuoti. Sono stata rioperata d’urgenza per un’emorragia, dicono uno dei rari rischi della chirurgia.

Dopo una laparotomia può capitare, è raro, ma può capitare. Ricordo il dolore atroce, lo sguardo del medico che ha compreso al volo quello che stava accadendo, la corsa in sala operatoria, la chiamata in lacrime che ho fatto alla mia mamma, e quel nuovo ingresso in sala operatoria con il pensiero di non essere riuscita a salutare il mio ragazzo, qualora io non fossi uscita viva da lì dentro. È andato tutto bene, nuova anestesia totale, nuovo intervento, utero preservato. Tutto ok. Rientrata nella mia stanza, ho visto la mia vicina di letto con il rosario in mano.. “figghia mia, ho pregato tutto questo tempo per te”.

Ho assistito al trasferimento della signora in oncologia, non l’avrei più rivista. I giorni dopo, in ospedale, era un continuo aver paura di qualsiasi cosa, non mi riconoscevo più. L’ansia aveva preso il sopravvento su tutto, desideravo rientrare a casa. Mi vennero a prendere i miei cari all’uscita dell’ospedale, un abbraccio commosso, avevo perso circa 15 chili, ero irriconoscibile. Ma quello che più mi preoccupava, era la mia mente.

Non avevo altro che pensieri intrusivi ed ero costantemente in stato di allerta. Tornai al lavoro dopo circa tre mesi, dopo essermi ripresa fisicamente. Ma la mia ripresa è durata circa un anno. Ho effettuato a lungo psicoterapia. È stata dura per me accettare di essere umana, di aver subìto un evento che mi ha traumatizzato e che avrei avuto bisogno di tempo per riprendermi. Ho dovuto rimodulare i miei ritmi di lavoro, inizialmente pochissimi pazienti e non troppo complessi. Le mie risorse cognitive ed emotive scarseggiavano, avevo bisogno di tempo.

Ero passata da essere una macchina da guerra, che riusciva a lavorare come una matta e a gestire contemporaneamente mille cose, a sentirmi lenta ed inefficiente. Ho dovuto fare i conti con un momento di importante difficoltà. Sono veramente guarita quando ho iniziato ad accettare la mia caduta. Ho preso in mano i fili della ragnatela e ho iniziato a metterli al posto giusto, ho ristabilito tutte le mie priorità. Motivo per il quale sono tornata a lavorare vicino alla mia famiglia. Ogni tanto, mi capita con alcuni pazienti di auto rivelarmi, ovviamente quando ritengo che ciò possa essere d’aiuto. È un’esperienza così forte, ma ogni volta aggiungo un pezzo alla mia formazione e al mio essere. Talvolta capita che qualche informazione ancora mi attiva e non sempre poco, ma ho imparato a gestire questi stati. Quel senso di inefficienza si è trasformato, piano piano, in efficienza in modo diverso da quello a cui ero abituata.

Prima di essere psicoterapeuti, siamo essere umani. Non siamo esonerati dalle difficoltà. Abbiamo solo, oserei dire, la fortuna di sperimentare sul campo come e quanto le nostre cadute ci hanno cambiato e di utilizzare tutto questo come valore aggiunto. Senza il mio personalissimo cambio di programma, non sarei la psicoterapeuta e la donna che sono.

Credo davvero che questa volta ho imparato la lezione, quella più importante, quella che nessuno, a parte la mia vita stessa, poteva impartirmi..

Ad oggi ho aggiunto un altro elemento che mi permette di svolgere con passione il mio lavoro.. impegno, studio, esperienza e cambio di programma 😊 GRAZIE.

Dott.ssa Roberta Carrino

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