La paura

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Tra tutte le emozioni di base, la paura è quella che più mi affascina inducendo la riflessione sia per il suo aspetto mutevole, proteiforme, in grado di innescare una risposta di attacco, di fuga ma anche di blocco e di paralisi, che per il fatto di averne fatto esperienza in più occasioni.

Generalmente nota come un’emozione primitiva e innata che si presenta sotto forma di avvertimento teso a mettere in guardia dai pericoli imminenti, la paura è tipica della specie umana ma anche di quella animale; tutti abbiamo paura, tuttavia la tipologia e l’intensità della risposta, come generalmente accade per ogni situazione di vita, risultano peculiari poichè influenzate dal vissuto dell’interessato.

Al lettore pongo questa domanda: hai mai pensato cosa significhi per te avere paura? A me capita, da qualche anno, di pensarci spesso.
James diceva che il corpo è una “cassa di risonanza” in cui riverbera ogni emozione; a tal proposito potrei dire che il mio ha risuonato, vibrando per paura, più di una volta nella vita, tuttavia il modo in cui ne ha fatto esperienza non è stato sempre lo stesso. La prima volta è accaduto circa sei anni fa, quando mi ritrovai per mano d’altri a sfiorare quella linea sottile e immaginaria che comunemente tracciamo per dividere la vita terrena da quella del sonno eterno. Quegli attimi, cosi brevi ma pregni di grande intensità, hanno condotto in un modo quasi naturale la mia esistenza verso traiettorie differenti rispetto a quelle che avevo prestabilito e immaginato prima che accadesse. Tuttavia, l’aver eluso la cessazione eterna non è stato sufficiente per alleggerire la sofferenza che è sopraggiunta in seguito. In un primo momento la reazione alla paura è stata quella di blocco, una sorta di paralisi fisica ed emotiva che ha condotto al non voler vedere ed accettare in qualche modo quello che era successo e le sue conseguenze, mi chiedevo: “ perché proprio a me ? ” e anche “ cosa ho fatto nella vita di così brutto per meritare tutto questo? ”.

C’è una frase di Dante che fa: “ nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”; ed era proprio questo quello che stava capitando a me, rimanevo ancorata ad un passato felice a cui noi potevo più farvi ritorno; ero dentro la sofferenza, ma non riuscivo ad attraversarla appieno.

L’emozione della paura, si era trasformata in un sentimento, qualcosa di meno intenso ma più duraturo che mi faceva sentire sospesa, priva di una base sicura su cui poggiarmi, ciò che avvertivo come minaccioso era diventato atmosferico. Da quella inspiegabilmente calda mattinata di metà aprile in poi, sentivo di essere diversa, qualcosa in me era cambiata e non erano solo le varie fratture scomposte che portavano le mie gambe ad avermi resa così, poichè percepivo che tutto attorno a me era diverso, quasi mi spaventava. Lo sguardo sulle cose, sulle persone e sugli oggetti del mondo era mutato; ogni cosa poteva essere fonte di pericolo soprattutto nell’istante in cui capii che non potevo programmare e controllare la mia esistenza e quella delle persone che mi stavano attorno, come avevo tentato di fare prima di allora.

In seguito, questa forte emozione si spostò dalla prima alla terza persona, conducendomi a sperimentare inizialmente la paura della perdita di qualcuno che amavo che non sarebbe più potuto tornare quello di un tempo e poco dopo il dolore per la perdita di due persone che pur essendo vittime della mia stessa sfortuna, non sono state in grado di raccontarla. Fù cosi che la mia reazione istintiva alla paura e agli eventi avversi della vita cambiò, trasformandosi.

Quello che inizialmente era stato avvertito da me come un blocco, una paralisi, nato dalla convinzione che oramai tutto risultava inutile e nulla aveva più senso, mi abbandonò trasformandosi in azione.
Qualche anno dopo decisi di proseguire con gli studi per diventare una psicoterapeuta ed una neuropsicologa, probabilmente per una forma di riscatto verso la vita.

Ho scelto la mia seconda opportunità.
Nel tempo non sono stata risparmiata da altri spiacevoli eventi, tuttavia ho imparato ad affrontarli in modo differente rispetto a quello che mi accadeva in precedenza. Oggi, so di non poter evitare la sofferenza ma so anche di poter stare accanto e aiutare chi ci convive ad attraversarla, posso essere il sostegno per coloro che hanno l’infausta sorte di non poter essere più quelli di un tempo; riconosco di non poter tracciare dei limiti entro i quali qualcuno dovrebbe muoversi ma posso essere in grado di offrire uno spazio necessario per migliorare, so di non poter giudicare le decisioni prese da altri, ma posso comprenderne l’esperienza.

Cercare di capire le cause della sofferenza altrui e condividerla mi appaga ma al tempo stesso mi mette in contatto con ciò che più mi spaventa: la paura del dolore. Quel dolore che per quanto dannato possa essere, mi ha resa la persona che sono oggi.

Dott.ssa Cristina De Dominicis

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