Il silenzio dell’intimità: l’essere con l’altro

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Forse ci saranno sempre guerre perché uno non

può mai sentire appieno quel che soffre l’altro

E. M. REMARQUE

Mi giunge un messaggio nella notte, un attimo prima di scivolare nel sonno di una sera qualunque. Trovo la fotografia della copertina di un libro e le parole di un’amica che mi suggeriscono di leggere un romanzo: “Tre camere a Manhattan”, di Georges Simenon. Chissà perché ha pensato a me, mi domando, e chissà perché proprio Simenon, da sempre associato ai giallisti da cui così poco sono attratto. Vengo subito rassicurato: non si tratta di un giallo. Lo acquisto due giorni dopo, in un clima di clandestinità. Non ho ancora ben capito se recarsi in libreria può essere considerato un valido motivo per superare i confini del mio comune in questo nuovo mondo surreale. Lo finisco in due giorni e torno a pensare al suggerimento della mia amica. Quando riapro la chat per ringraziarla, mi accorgo che il suo invito non mi era arrivato durante la notte ma a mezzogiorno, nel cuore di una domenica qualunque. Devo essere stato ingannato dall’atmosfera della storia. È come un notturno di Chopin.

«Alla lunga, quella marcia silenziosa nella notte andava assumendo l’andatura solenne di una marcia nunziale, e se ne rendevano conto tutti e due, tanto che si stringevano di più l’uno all’altro, non come due amanti ma come due esseri che dopo aver vagato a lungo nella solitudine avessero finalmente ottenuto la grazia insperata di un contatto umano».

Mi risulta così facile associare il tema dell’intimità alla notte perché essa, proprio come la notte, non è frastuono ma un inquieto mormorio.

L’intimità di cui qui si parla non è da confondere con la sessualità o con l’amore, come l’uso corrente del termine potrebbe suggerire. In amore – e nella sessualità – l’altra persona è ciò a cui si tende, il mancante, l’oggetto del desiderio; agita la ricerca, la promuove. Gli amanti si osservano, sono l’uno di fronte all’altro. “Gli amanti, se non ci fosse l’altro, che/preclude la vista, a quello spazio puro son vicini e/stupiscono… […] essere dirimpetto/e null’altro, e sempre dirimpetto”. L’intimità non è legata alla mancanza, non impone alcuna forma di ricerca e prende le distanze dalla galassia del desiderio. Nell’intimità non si è di fronte all’altro, occhi su occhi, ma l’uno accanto all’altro, di fianco, come una muta presenza che non si nutre di parole. Si entra in intimità con l’altro nel momento in cui decadono progetti e mire su di esso.

Percorro le vie dei paesi di questa terra che mi ha accolto con calore discreto. Il manto stradale è frastagliato come il dorso d’uno scoglio gettato in mare, e ai bordi incontro grandi sassi incastrati tra loro che fanno ballare tutta la macchina. Ne trovai uno di scoglio, intravisto dal bordo della curva della strada, poco lontano dalla riva; era lì tutto solo, ad ammuffire nell’acqua, e la sua schiena si spaccava a metà disegnando due creste aguzze di pietra, come la sagoma d’un grande alligatore dormiente.

Le case di queste città sono basse, è tutto a vista d’occhio, e le porte si lanciano sulla strada senza diffidenza. Immagino l’anziana donna del marciapiede opposto al mio dormire fiduciosa al di là della sua spensierata porta finestra richiusa da persiane poco robuste. Forse l’uomo, qui, tra queste corte abitazioni, ha fiducia nel prossimo, in tutta la comunità.

La fiducia è condizione necessaria affinché vi sia intimità tra due persone? Di sicuro la fiducia – come l’intimità – si aggroviglia in una relazione, è parte integrante di una relazione. Entrambe non possono essere esclusiva dell’uno o dell’altro, piuttosto si trovano tra loro, nello spazio della relazione. Affinché ci sia fiducia, è necessario che sia presente anche l’ombra, il mistero, l’ignoto, ovvero la prospettiva che l’altro possa tradirmi, altrimenti sarebbe trasparenza. Mi viene da pensare che la trasparenza, tanto osannata nell’era attuale, possa essere professata come valore da perseguire in virtù di una lotta alla fiducia, per non soffrire più delle sue pene.

Ma cosa significa, dunque, essere in intimità con l’altro?

La natura dell’intimità è biforcuta: essa descrive una relazione con se stessi ma anche l’essere in relazione con l’altro. È sia spazio proprio, privato, ciò che è nascosto e si sottrae alla vista dell’altro, che ciò che mi lega all’altro nel più profondo. L’incontro è intimo quando proprio nello spazio più profondo di sé l’interiorità incontra l’altro e si crea un non-luogo, una terra di mezzo abitata, un dentro comune, di condivisione.

Tu mi abiti senza ferirmi, sei in me pur rimanendo a distanza, accanto a me.

«Lui non provava passione, né desiderio fisico. […] La accarezzava, ma non era il suo corpo quello che accarezzava: era lei tutta intera, era una Kay che gli sembrava di assorbire a poco a poco dentro di sé mentre a sua volta veniva assorbito dentro di lei.»

L’intimità è, dunque, ritiro in se stessi e condivisione con l’altro allo stesso tempo. Con l’altra persona si giunge a condividere uno spazio interiore senza che sia necessario chiedersi cosa è mio e cosa è dell’altro, a chi questo spazio appartiene. In essa non vi è sospettosità, timore, diffidenza o pericolo, proprio perché tra i due non emergono scopi o progetti. Probabilmente la parola dell’intimità – se proprio risulta essere necessaria – è il sussurro, perché essa – l’intimità – si nutre di piccole cose, di nonnulla, piuttosto di silenzi. L’intimità è dimessa, discreta, silenziosa, lascia parlare i gesti, gli sguardi, la postura. Il mondo dell’intimo, la sua calda pancia, non è raccontabile, sfugge alla storia.

Discutere dell’intimità, raccontarsela a parole, è già un uscirne fuori.

«Che cos’altro avrebbero potuto dirsi, che cosa avrebbero potuto fare? Niente, neanche l’amore, perché perfino questo avrebbe probabilmente rotto l’incanto.»

Se l’amore è chiassoso, l’intimità è riservata.

In amore l’altra persona può trasformarsi in oggetto del desiderio. Nell’intimità, invece, l’altro è un soggetto, e da soggetto è accanto a me e a me non si fonde ma ne rimane a distanza. Sarà forse proprio questa distanza, lo scarto che esiste tra me e l’altro, la più alta forma di riconoscimento a cui l’intimità tende? Per essere visto dall’altro – e quindi riconosciuto – è necessario che egli sia a distanza da me?

«Domani non sarebbero più stati soli, non sarebbero mai più stati soli, e quando lei all’improvviso ebbe un brivido, quando lui sentì, quasi contemporaneamente, una punta dell’antica angoscia ridestarsi e stringergli la gola, entrambi capirono di aver gettato, nello stesso istante, senza volerlo, un ultimo sguardo sulla solitudine in cui erano vissuti fino ad allora.»

Abbandono la città e tutte le sue basse case e gli stretti marciapiedi, e imbocco la statale. È così stretta che pare una coda di lucertola in un campo di grano. Adesso è notte e mi ritrovo a pensare a quanto sentito durante il giorno fitto di colloqui. «Penso che tra noi ci sia un grado d’intimità così profondo che pur solo leggendo il titolo dei tuoi articoli tra tutti gli altri, io ti riconosco subito, so che l’hai scritto tu», mi racconta una delle mie giovani pazienti. Sento la commozione salirmi in gola come il galleggiante che riemerge dall’acqua per non perdere di vista l’esca.

La strada è piatta davanti a me. La mia attenzione viene catturata, alla mia sinistra, da qualcosa che si muove nel buio. In lontananza vedo trascinarsi un piccolo treno che sbuffa, come uno stanco serpente dalle squame illuminate qua e là che traccheggia nella notte. È vuoto. È il bisbiglio di un’anima che vaga solitaria nella stretta pianura circondata dal mare.

Sarà l’intimità l’incontro tra due solitudini?
È uno stare insieme da soli?

Sto con te e sto bene solo perché sono accanto a te.
Adesso il mondo è un posto migliore.


1 Remarque E. M. (2014), La via del ritorno, Neri Pozza editore, Vicenza

2 Simenon G. (1998), Tre camere a Manhattan, Adelphi edizioni, Milano

3 Rilke R.M. (1978), Elegie duinesi, Ottava elegia, Einaudi editore, Torino

4 Simenon G., op. cit.

5 Simenon G., op. cit.

Jullien F. (2014), Sull’intimità, Raffaello Cortina editore, Milano

Stanghellini G. (2017), Noi siamo un dialogo, Raffaello Cortina editore, Milano

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