Malinconia da fine libro: e se fosse un modo per evolvere?

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È esattamente un’ora che guardi quell’ultima parolina seguita da un punto e poi dal vuoto della pagina. Nella mano sinistra un corpulento numero di facciate, nella destra una sola, l’ultima. Ci risiamo. Senso di vuoto, tristezza, malinconia che, da ormai veterano, sai che ti accompagneranno per qualche giorno, o forse anche più.

Gli americani, che hanno una definizione per tutto, lo chiamano “book hangover”, sbornia da libro, o anche “post book blues”, depressione da fine libro, addirittura, facendo riferimento a quelle particolari sensazioni, per lo più spiacevoli, che un lettore prova nel momento in cui finisce di leggere un libro (ma lo stesso potrebbe dirsi per la fine di una serie tv che ci ha particolarmente colpito), di solito di finzione, e per le quali non riesce a smettere di pensare al mondo immaginario descritto nel libro. Manca tutto di quel contesto: i personaggi, l’atmosfera, le emozioni suscitate e condivise con i protagonisti. Nel vano tentativo di colmare quel vuoto c’è chi adotta la cara vecchia tecnica del “chiodo schiaccia chiodo”, correndo in libreria a comprare un nuovo libro, ma spesso una volta giunto lì e letto la trama di diversi libri, resta deluso sentendo che nessuno di essi avrà mai lo stesso appeal: quali gioie passeggere potrà mai riservarmi un nuovo romanzo quando io vorrei solo saperne di più della storia che ho appena finito?

Perché ci sentiamo in questo modo? Perché le nostre teste rimangono bloccate nei libri che leggiamo anche dopo la loro fine?

Per provare a rispondere a questa domanda dobbiamo scomodare la psicologia della lettura per scoprire che è stata perfino condotta una ricerca sull’argomento, nella quale Maja Djikic, PhD, professoressa associata e direttrice del Self-Development Laboratory presso la Rotman School of Management, Università di Toronto, ha studiato gli effetti della lettura sulla teoria della mente e sull’empatia. Dalle conclusioni emergerebbe la presenza di una base psicologica per le emozioni persistenti nella sbornia da libro: delle volte è semplice tristezza, che segnala la perdita di qualcosa di prezioso (ad esempio un personaggio con cui ci si è particolarmente identificati, oppure un contesto sociale desiderabile ed ambito), mentre per altre tale disagio potrebbe concretizzarsi in maniera più persistente e pervasiva tanto da arrivare a significare che le questioni sollevate dal libro sono ancora molto attive all’interno della propria psiche, arrivando a toccare questioni rimaste irrisolte, incomprensibili, nervi scoperti finanche dei traumi.

Secondo la Djikic, due concetti possono intensificare l’effetto sbornia: il trasporto emotivo e l’ empatia. Il primo è familiare a tutti i fortunati lettori che sanno cosa significhi perdersi in un libro: la realtà svanisce e la storia narrata è vissuta in prima persona attraverso gli occhi dei personaggi, arrivando così a perdere la cognizione del tempo e dello spazio, completamente rapiti dai capitoli che scorrono veloci. Questo spiegherebbe parte della sbornia del libro: viene a mancare il mondo immaginario perché, per un po’, lo abbiamo percepito come reale. Il cervello ci permette di teletrasportarci in un altro mondo che, purtroppo, cessa di esistere con la fine delle pagine. In merito al secondo aspetto, l’empatia, è stato scoperto che i personaggi dei libri possono essere vissuti al pari di nostri cari amici intimi, questo perché il nostro cervello elabora i sentimenti nutriti nei loro confronti più o meno allo stesso modo delle relazioni affettive nella vita reale. Per di più, la ricerca dimostra che la lettura di narrativa attiva l’empatia, la capacità di comprendere e condividere i sentimenti dell’altro; difatti, i ricercatori dello studio hanno persino scoperto che i lettori che hanno riferito di essersi sentiti emotivamente trasportati durante la lettura di una narrativa di fantasia, hanno anche poi sperimentato una maggiore empatia nella loro vita quotidiana nella settimana successiva. In un altro studio ancora, la Djikic e i suoi collaboratori, hanno scoperto che i partecipanti allo studio che erano lettori frequenti di narrativa ottenevano punteggi più alti in alcune scale che misurano il grado di empatia.

Alla luce di quanto emerso, sembrerebbe lecito chiedersi: la sbornia del libro potrebbe quindi indicare una crescita personale?

Sì e no. La Djikic ha notato che non tutti i postumi di una sbornia di libri hanno le stesse conseguenze. A volte è solo un momento passeggero di malessere, ovvero quando le emozioni di disagio svaniscono entro pochi giorni, ed è fortemente probabile che ciò che è stato vissuto sia stato solo una breve parentesi di malinconia e tristezza. Questo è il tipo di sbornia probabilmente più comune e che non lascia grandi spazi alla riflessione e all’introspezione. Diverso dicasi per una sbornia da libri che persevera nel tempo, poichè potrebbe essere una questione decisamente più consistente e che promuove un cambiamento in ottica evolutiva personale: più a lungo il malessere si protrae e tormenta e più è probabile che il libro abbia esercitato un scossone sul modo in cui si percepisce se stessi ed il mondo circostante. La Djikic osserva che una sbornia che si prolunga in maniera continuativa di solito deriva dall’incessante riflettere e lottare con alcune questioni personalmente rilevanti e che sono state sollevate nel libro, per questo considera questa fase una potenziale risorsa che potrebbe portare a una profonda trasformazione personale. La lettura di narrativa può essere un potente disregolatore dell’identità, consentendo ai lettori di uscire da se stessi e di essere in uno stato più ricettivo al cambiamento e alla trasformazione personale. Parte di questo stato ricettivo deriva dal cambio di prospettiva, che si verifica quando una persona sperimenta il mondo attraverso gli occhi di un altro, e nulla meglio della narrativa consente al lettore di vedere la storia attraverso gli occhi di un personaggio.

A volte la tristezza da fine libro è solo un inconveniente facilmente superabile con un’altra lettura avvincente, in altre un romanzo può cambiare il modo in cui vediamo noi stessi ed il mondo, poichè porta con se un grande potenziale: una lunga sbornia da libro non solo può migliorare il nostro grado di empatia nei confronti dell’altro, ma soprattutto può concedere di interrogarsi, riflettere, crescere, evolvere, risolvere, cambiare.

Bibliografia

MAR R., DJIKIC M., OATLEY K.,: Effects of reading on knowledge, social abilities, and selfliood. Directions in empirical literary studies: In honor of Willie van Peer, 2008, 127.

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